Bellini torna alla Scala con “I Capuleti e i Montecchi”. Dopo il felice debutto dello scorso 18 gennaio, in prima nazionale, “I Capuleti e i Montecchi” resta in scena al Teatro alla Scala di Milano con repliche fino al 2 febbraio.
IL TEAM ARTISTICO DELLO SPETTACOLO
Sul podio debutta Speranza Scappucci, che è intervenuta a prove iniziate sostituendo Evelino Pidò costretto ad abbandonare la produzione, e anche Adrian Noble debutta alla regia, con scene di Tobias Hoheisel, costumi di Petra Reinhardt, luci di Jean Kalman e Marco Filibeck, coreografia di Joanne Pearce.

In scena debuttano come Giulietta Lisette Oropesa e come Romeo Marianne Crebassa. Tebaldo è Jinxu Xiahou, Frate Lorenzo Michele Pertusi e Capellio Jongmin Park. Il Coro del Teatro alla Scala è diretto da Alberto Malazzi.
IL CAST DELL’OPERA
Il direttore d’orchestra: Speranza Scappucci
E’ regolarmente invitata nei maggiori teatri europei e americani e, dal 2017, è alla guida dell’Opera de Wallonie di Liegi dove ha recentemente diretto un’acclamata produzione di “Eugenio Onegin”. E qui tornerà a giugno per il verdiano “Simon Boccanegra”.

In Italia ha diretto opere all’Opera di Roma, al Regio di Torino, al Festival Rossini di Pesaro e concerti con l’Orchestra del Maggio Fiorentino e la Toscanini di Parma.
All’estero è stata impegnata, tra l’altro, al Liceu di Barcellona, all’Opernhaus di Zurigo, al Mariinskij di San Pietroburgo, al Théâtre des Champs-Elysées di Parigi, al Théâtre du Capitole di Tolosa, al New National Theater di Tokyo e alle opere di Washington, Los Angeles, Santa Fe, oltre a dirigere tre produzioni e il Ballo dell’Opera alla Staatsoper di Vienna.
Tra i prossimi impegni l’apertura delle Mozartwochen al Mozarteum di Salisburgo, “L’elisir d’amore” alla Staatsoper Unter den Linden di Berlino e “Attila” al Covent Garden di Londra. Il 2, 5 e 9 maggio dirigerà la Filarmonica della Scala, nella Stagione Sinfonica, su musiche di Schubert, Mozart e Mendelssohn-Bartholdy.
Il regista: Adrian Noble
E’ stato direttore artistico della Royal Shakespeare Company di Londra, dal 1990 al 2003. Da allora, ha continuato a lavorare per i principali teatri di prosa britannici, ma ha anche sviluppato un forte impegno sui maggiori palcoscenici d’opera.

Tra le sue regie si ricordano “Macbeth” al Metropolitan di New York; “Otello”, “Hänsel und Gretel” e “Alcina” alla Staatsoper di Vienna; “Die Zauberflöte” al Festival di Glyndebourne; “Le nozze di Figaro”, “Così fan tutte” e “Don Giovanni” all’Opera di Lione.
Ma anche “Il ritorno di Ulisse in patria” di Monteverdi con William Christie e Les Arts Florissants al Festival di Aix-en-Provence; “Carmen” all’Opéra Comique a Parigi e “Serse” di Händel al Theater an der Wien.
Come regista cinematografico ha realizzato l’adattamento per lo schermo della sua produzione di “A Midsummer Night’s Dream” per la RSC e “Mrs Lowry & Son” con Vanessa Redgrave e Timothy Spall.
Giulietta: il soprano Lisette Oropesa
Nella parte di Giulietta torna alla Scala questo Lisette Oropesa, tra le più apprezzate voci del nostro tempo. Il soprano statunitense avrebbe dovuto essere protagonista, il 7 dicembre 2020, della “Lucia di Lammermoor” cancellata a causa della pandemia. Ha comunque conquistato il pubblico televisivo cantando la sua aria nello spettacolo “…a riveder le stelle”.

Lisette Oropesa aveva già debuttato festosamente al Piermarini nel 2019 come Amalia ne “I masnadieri” diretti da Michele Mariotti. Fittissimo il calendario dei prossimi mesi: “Il turco in Italia” alla Bayerische Staatsoper, “Die Entführung aus dem Serail” alla Wiener Staatsoper, “Lucia di Lammermoor” a Philadelphia, Vienna, Zurigo e Salisburgo e “I Puritani” al San Carlo di Napoli.
Romeo: il mezzosoprano Marianne Crebassa
Nei ultimi anni ha conquistato il pubblico scaligero interpretando un repertorio che va da Händel a Bizet. Il debutto avviene nel 2015 nel “Lucio Silla” di Mozart diretto da Marc Minkowski che la dirige anche nel 2016 ne “L’enfant et les sortilèges” di Ravel.

Sempre nel 2016 è Cherubino ne “Le nozze di Figaro” dirette da Franz Welser-Möst, mentre nel 2017 è Irene nel “Tamerlano” di Händel diretto da Diego Fasolis. Nel 2019 si presenta in recital con Fazil Say e come protagonista de “La Cenerentola “diretta da Ottavio Dantone.
Le ultime apparizioni scaligere sono state nella serata “…a riveder le stelle” e in un recital di canto lo scorso 6 giugno.
Tra i prossimi impegni “La Cenerentola” alla Bayerische Staatsoper, “Anna Bolena” al Théâtre des Champs-Elysées e “Il barbiere di Siviglia” all’Opéra de Paris.
Tebaldo: il tenore Jinxu Xiahou
Debutta alla Scala questo cantante cinese che, dopo gli studi a Pechino, si è perfezionato a Vienna e ha fatto parte dell’ensemble della Staatsoper, interpretando numerosi ruoli in opere di Mozart, Rossini, Donizetti, Verdi, Puccini e Strauss.

Ha debuttato a dicembre all’Opéra de Paris come Pang nella “Turandot”.
Nella Stagione in corso canterà alla Scala anche in “Ariadne auf Naxos”, nella parte di Scaramuccio, sotto la direzione di Michael Boder. Inoltre sarà Ismaele nel “Nabucco” all’Opera im Steinbruch di St. Margarethen, in Austria.
Frate Lorenzo: il basso Michele Pertusi
Torna alla Scala questo artista che qui è ormai di casa. Dal debutto operistico ne “Il turco in Italia” diretto da Riccardo Chailly nel marzo 1997, ha al suo attivo una ventina di titoli, in prevalenza di Mozart, Rossini, Bellini, Donizetti e Verdi.

Nel 2003 è stato anche protagonista, insieme ad Anna Caterina Antonacci, di un titolo contemporaneo, “Vita” di Marco Tutino, allestito al Teatro Studio.
I suoi prossimi impegni prevedono “Norma” a Parma, “Luisa Miller” all’Opera di Roma, “Turandot” all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e al Regio di Torino, “I Lombardi” alla Fenice di Venezia, “Moïse et Pharaon” ad Aix-en-Provence e a Lione; “Don Carlo” a Napoli, “Medea” al Metropolitan; “Don Pasquale” a Vienna e a Tokyo.
Capellio: il basso Jongmin Park
Dopo gli studi nella città natale, Seoul, si è perfezionato all’Accademia Teatro alla Scala. Ha fatto parte dell’ensemble della Staatsoper di Vienna e ha poi debuttato in sedi prestigiose come il Festival di Salisburgo in “Die Liebe der Danae”, il Festival di Pasqua in “Die Meistersinger von Nürnberg”, il Metropolitan ne “La Bohème”, il Festival di Savonlinna ne “I puritani”.

Alla Scala ha partecipato nell’ottobre 2020 all’edizione di “Aida”, in forma di concerto, sotto la direzione di Riccardo Chailly.
Il 29 dicembre ha sostituito Ildar Abdrazakov nella parte di Banco nel “Macbeth”, sempre diretto da Chailly.
Nella Stagione in corso parteciperà alle produzioni di “Don Giovanni”, nel ruolo del Commendatore, diretto da Heras-Casado, “Ariadne auf Naxos” nei panni di Truffaldin, diretto da Boder, e “Un ballo in maschera” nelle vesti di Tom, diretto da Chailly.
GENESI DE “I CAPULETI E I MONTECCHI”
Quando Vincenzo Bellini compone “I Capuleti e i Montecchi” per la Fenice di Venezia nel 1830 ha 29 anni. E’ la sua sesta opera (o settima a seconda che si conti separatamente “Bianca e Gernando”, la seconda versione di “Bianca e Fernando”) e precede i capolavori più noti. “La sonnambula” e “Norma” sono dell’anno successivo e “I puritani” del 1835.

La genesi dell’opera è avventurosa. A Bellini, che si trovava a Venezia per una ripresa del “Pirata”, viene richiesta in tutta fretta dall’impresario Lanari un’opera nuova per coprire la falla nella stagione aperta da Giovanni Pacini.
Per quel Carnevale Pacini aveva infatti incautamente accettato tre commissioni insieme e si trovava in difficoltà.
Per finire in tempo il compositore fa ampio ricorso a materiali preesistenti. Così chiama a Venezia Felice Romani a scorciare e riadattare un suo libretto esistente. Libretto già utilizzato per “Romeo e Giulietta” di Nicola Vaccaj.
E sul tema esisteva anche un’opera di Zingarelli del 1796. Bellini attinge così alla “Zaira” scritta per Parma l’anno precedente rimaneggiandone radicalmente i materiali e per l’aria di sortita di Giulietta anche ad “Adelson e Salvini”, suo primo lavoro del 1825.

L’opera, le cui parti principali furono modellate sulle voci di Rosalbina Carradori e Giuditta Grisi, riesce con un carattere suo proprio. E, se per la maggior parte presenta forme chiuse d’impianto tradizionale, colpisce per nobiltà e aderenza alla parola poetica del canto.
Nel finale sorprende con “la lunga scena del sepolcro ispirata al principio della massima flessibilità formale.
Questo permette di seguire momento per momento i trapassi psicologici del personaggio principale” (Toscani).
Proprio la novità del finale, che ai moderni appare tra i maggiori pregi dell’opera, sconcertò i contemporanei che presero a sostituirlo con quello assai più convenzionale del Vaccaj sugli stessi versi.

Bellini impose Maria Malibran nella ripresa scaligera del 1834. Nel ’31 era andato in scena il solo primo atto nelle serate di gala per la riapertura del Teatro dopo i lavori di ristrutturazione della sala.
E così avvenne fino all’ultima ripresa dell’’800 alla Scala, nel 1861.
Occorrerà attendere fino al 1966, con riprese nel ’67 e ’68, perché l’opera torni alla Scala con la regia di Renato Castellani, le scene di Ezio Frigerio e con Claudio Abbado a dirigere un cast favoloso, ma non a carattere filologico.
In quell’occasione accanto alla Giulietta di Renata Scotto e al Tebaldo di Luciano Pavarotti, la parte di Romeo era affidata infatti a un tenore, Giacomo Aragall. Sarà Riccardo Muti, nel 1987, con riprese a Tokyo e Mosca negli anni seguenti, a riportare l’opera alla sua forma originaria, nello spettacolo di Pier Luigi Pizzi con le voci di June Anderson e di Agnes Baltsa.