Vincitore del Premio Strega nel 2015 con “La ferocia” e direttore del “Salone Internazionale del Libro” di Torino, Nicola Lagioia realizza con estremo coinvolgimento un romanzo, “La città dei vivi“, definito come una non-fiction giudiziaria, dove la narrazione viene usata per ricostruire una vicenda di cronaca nera.
Il tutto nasce dalla rielaborazione di anni di ricerche, di verbali ufficiali e di chiacchierate nei bar romani con giornalisti e avvocati. Lagioia fa luce sulle ombre della città eterna, Roma: la droga, la prostituzione minorile, i ricatti, usando un mosaico di frasi spezzate.
Come lo fa? Entrando nelle pieghe, con grande tensione emotiva dalla prima all’ultima pagina, di un omicidio che avvenne, proprio a Roma, nel marzo 2016, in un anonimo appartamento della periferia romana. Qui due ragazzi di buona famiglia di nome Manuel Foffo e Marco Prato seviziano per ore un ragazzo piú giovane, Luca Varani, portandolo a una morte lenta e terribile. È un gesto inspiegabile, inimmaginabile anche per loro pochi giorni prima.
La notizia calamita immediatamente l’attenzione, sconvolgendo nel profondo l’opinione pubblica. È la natura del delitto a sollevare le domande piú inquietanti. È un caso di violenza gratuita? Gli assassini sono dei depravati? Dei cocainomani? Dei disperati? Erano davvero consapevoli di ciò che stavano facendo? Qualcuno inizia a descrivere l’omicidio come un caso di possessione. Quel che è certo è che questo gesto enorme, insensato, segna oltre i colpevoli l’intero mondo che li circonda.
Da questa indagine emerge un tempo fatto di aspettative tradite, confusione sessuale, difficoltà nel diventare adulti, disuguaglianze, vuoti d’identità e smarrimento. Procedendo per cerchi concentrici, Nicola Lagioia spalanca le porte delle case, interroga i padri e i figli, cercando il punto di rottura a partire dal quale tutto può succedere.